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lunedì 24 ottobre 2016

Omicidi-suicidi tra le mura domestiche

In pochi giorni si sono susseguiti nuovi casi di femminicidio, accomunati dalla particolare dinamica dell'omicidio-suicidio: il primo è avvenuto il 21 ottobre nella periferia di Torino, mentre il secondo ha avuto luogo il giorno successivo in provincia di Pisa, nel Volterrano.
In entrambi i casi, l'uomo ha ucciso la moglie e si è poi tolto la vita. Differenze sembrano comunque emergere in rapporto alle cause alla base dei delitti: a Torino la tragedia pare essere avvenuta innanzitutto per motivi economici, considerato che l'omicida, oppresso dai debiti, avrebbe lasciato un biglietto per spiegare in quali difficili condizioni si trovasse. Nel caso di Montecerboli, nel Volterrano, sembra invece che i coniugi fossero in fase di separazione e che i litigi, hanno riferito i vicini, fossero sempre più duri e frequenti.

I due episodi considerati ci permettono di esaminare una dinamica sicuramente non rara quando ci si trovi di fronte a delitti intrafamiliari: il suicidio del pater familias (colui che più spesso, statisticamente parlando, è autore del delitto che si consuma tra le mura domestiche) segue a breve distanza di tempo l'omicidio della compagna. Ci si domanda, dunque, quali meccanismi possano dare origine a tragedie di questo tipo, le quali, qualora comprendano anche la morte dei figli della coppia, sono classicamente definite dalla letteratura come "family mass murders".

Ho già sinteticamente esaminato in un precedente post le diverse dinamiche che possono determinare un femminicidio. Cerchiamo ora di capire come possa spiegarsi il suicidio del suo autore successivamente al delitto.
Possiamo dire che il suicidio post delictum rappresenta il gesto a cui frequentemente ricorre il soggetto che sia affetto da disturbo mentale, che generalmente può
consistere in una forte depressione o in una psicosi. Nel caso specifico di depressione, l'omicidio può essere commesso anche da uomini che non sono mai stati violenti con la propria compagna. Nel caso di Torino è possibile, per esempio, che vi sia stata una situazione di questo genere, essendo piuttosto probabile, almeno sulla base dei primi elementi raccolti dagli investigatori e se risultasse l'assenza di precedenti episodi di violenza, che sia stato proprio uno stato depressisvo determinato dalle difficoltà economiche dell'uomo a portare all'ideazione del delitto e del successivo suicidio.
Il fine che l'omicida si propone di raggiungere in questi casi è generalmente quello di liberare non solo sè stesso ma anche i propri familiari dalle sofferenze inflitte da un mondo avvertito come sempre più ostile. Dopo aver ucciso la compagna e, se presenti, anche gli altri famigliari, il suicidio consente di ricongiungersi alle vittime.
Considerando, invece, i casi di uomini che prima di uccidere si sono contraddistinti per comportamenti violenti,  in molti soggetti che divengono sempre più aggressivi nei confronti della loro compagna coesistono paradossalmente il bisogno di eleminare la stessa, verso cui si sviluppa molto spesso una vera e propria ossessione, e la consapevolezza dell'incapacità di vivere senza di questa. In seguito all'omicidio, l'omicida sente di avere eliminato una parte di sè senza la quale è convinto di non poter restare. Il caso di Montecerboli potrebbe ricondursi a una dinamica di questo  tipo. Il fatto che non siano stati coinvolti i figli, presenti al momento del fatto, può suggerire che la tragedia non sia avvenuta in dipendenza di uno stato depressivo, dal momento che questo, in un numero considerevole di casi, spinge l'omicida a uccidere tutti i componenti della famiglia.
Secondo i criminologi, l'omicidio-suicidio è di solito un gesto premeditato. L'omicida dedica quindi un certo lasso di tempo all'ideazione del delitto e il suicidio rappresenta una conclusione programmata già prima dell'uccisione della compagna. Torna quindi il concetto di "delitto passionale", frutto di graduale maturazione.

Possiamo dire, in conclusione, che l'omicidio-suicidio può avere principalmente due spiegazioni: in certi casi può essere espressione del desiderio di morte dell'omicida, che, sopraffatto dall'intento suicida, decide egoisticamente di "portare con sé" anche la compagna, convinto di poterle risparmiare future sofferenze; in altri casi, l'uomo uccide la donna per determinati motivi (primo tra tutti la gelosia) e si suicida per ricongiungersi alla persona amata e ormai perduta, senza la quale non vede alcun futuro.

Rappresenta un caso particolare il c.d. "omicidio per pietà", che ricorre quando la compagna, affetta per esempio da grave malattia, è uccisa per evitare ulteriori sofferenze legate alla difficile situazione; in questo caso il successivo suicidio dell'uomo ha carattere, per così dire, "altruistico": egli si sente in dovere di uccidere la compagna sofferente e nello stesso tempo decide di accompagnarla anche nella morte.

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